Il Regno di Dio fra vita eterna e vita quotidiana

 “Svegliati, o uomo: per te Dio si è fatto uomo. “Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà” (Ef 5,14). Per te, dico, Dio si è fatto uomo. Saresti morto per sempre, se egli non fosse nato nel tempo. Non avrebbe liberato dal peccato la tua natura, se non avesse assunto una natura simile a quella del peccato. Una perpetua miseria ti avrebbe posseduto, se non fosse stata elargita questa misericordia. Non avresti riavuto la vita, se egli non si fosse incontrato con la tua stessa morte. Saresti venuto meno, se non ti avesse soccorso. Saresti perito, se non fosse venuto”

                                    Sant’Agostino. Discorso 85

 Premessa

Una delle difficoltà maggiori che mi si sono presentate alla morte di Aida, mia moglie, era il come e dove raffigurarmela. Sentivo forte l’esigenza di parlare con lei, di pregare con lei, di continuare ad avere un rapporto vivo e intenso come era sempre stato fino al giorno in cui chiuse gli occhi, ma mi accorsi subito che in questo la mia cultura religiosa non mi aiutava. Le immagini dell’aldilà che mi veniva offerte erano immagini eteree, leziose, del tutto improbabili: nuvole, angioletti in un mare di azzurro. Eppure  sull’esperienza sociale la cultura religiosa si presentava con tutt’altro spessore: l’insegnamento sociale della chiesa, il personalismo, il popolarismo sturziano erano elaborazioni, almeno per me, pregnanti e convincenti. Sulla vita eterna , a parte la citazione in alcune preghiere tradizionali, vi era invece una forte afonia come se la Chiesa contemporanea, che aveva sviluppato una forte attenzione ai temi della socialità, temesse di essere accusata di evasione dalla dura realtà del quotidiano, dai problemi e dalle difficoltà della vita di tutti i giorni. E mentre la Chiesa ed i cristiani balbettano sull’aldilà, si diffondono e si radicano soprattutto fra le nuove generazioni feste come quelle di Halloween del tutto estranee alla nostra tradizione, che provengono da culti celtici diffusi negli Stati Uniti e favoriti da una surrettizia spinta consumistica e dalla moda indotta da tutta una serie di filmati su un aldilà dominato dall’horror.

Così quando ho preso a studiare ed a riflettere su cosa un cristiano può dire della vita eterna e dell’aldilà, mi sono accorto di trovarmi di fronte a tematiche per nulla evasive ma che anzi sollecitavano un forte impegno nella vita sociale, politica, culturale. E che la celebrazione dei Santi l’1 novembre e la commemorazione dei defunti del giorno due – due appuntamenti fra loro strettamente connessi – poteva essere l’occasione per riproporre una riflessione su quella che un tempo veniva chiamata “teologia dei novissimi”.

Il  card.Carlo M. Martini che considero uno dei miei maestri nel cammino di fedein una recente intervista a Eugenio Scalfari ricordava che per lui” e per tutta la comunità dei fedeli, la Resurrezione era il fulcro della nostra vita… Lo Spirito risorge in tutti noi. Risorge ogni giorno, risorge quando preghiamo, quando ci comunichiamo mangiando il pane e bevendo il vino del Signore, quando risorgono in noi la carità e la speranza del futuro, quello terreno e quello extraterreno. La storia del mondo non sarebbe quella che è se la speranza non alimentasse i nostri sforzi e la carità non illuminasse la nostra vita quotidiana. La Resurrezione dello Spirito è la fiamma che spinge le ruote del mondo. Lei può immaginare un mondo senza carità e senza speranza?”

La Resurrezione è la dimostrazione che la vita eterna é possibile anzi che con la resurrezione del Cristo si apre una pagina nuova nel creato: la vita umana diventa eterna. Chiunque crede in me, dice Gesù, avrà la vita eterna (Gv 3, 15).

 Che cos’è la vita eterna?

 Che cos’è la vita eterna o il Paradiso o, forse ancora meglio, il Regno di Dio del quale Gesù ci ha parlato più volte nelle sue parabole?   E’ una vita vissuta nella comunione con Dio, nella pienezza del suo amore. Questo non vuol dire però che Dio assorbe la nostra personalità. Noi non ci annientiamo in lui con la scomparsa della nostra individualità. Noi continuiamo ad esistere con il nostro carattere, i nostri sentimenti forti che abbiamo saputo coltivare sulla terra ed ora vengono potenziati nell’amore di Dio, i nostri valori, i nostri affetti, le nostre passioni e inclinazioni purificate e sublimate. Trasfigurate è forse il termine più adeguato come la trasfigurazione di Gesù sul Monte Tabor che fu una finestra aperta sull’aldilà.

Il Concilio Vaticano II nella “Gaudium et spes” ci conferma che “vinta la morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo,  ciò che fu seminato in infermità e corruzione rivestirà l’incorruttibilita’; resterà la carità con i suoi frutti, e sarà liberata dalla schiavitù della vanità tutta quella realtà che Dio ha creato appunto per l’uomo”(n.39).  Continueremo quindi, a coltivare l’amore, l’amicizia, le relazioni umane e sociali.

Naturalmente continuerà anche l’amore coniugale se il matrimonio è stato vero amore e non contratto sociale. E’ questo uno dei punti che desidero sottolineare perché vi è quel passaggio in Marco (12. 18-27) in cui Gesù viene interrogato dai Sadducei proprio sulla vita eterna e fanno riferimento alla legge mosaica per cui se un uomo muore e lascia la moglie senza figli, il fratello deve sposare la vedova e cercare di avere figli. Ora se una donna sposa, in successione, alla morte di ciascuno di essi, più fratelli, di chi sarà la moglie quella donna nel giorno della Resurrezione? E Gesù risponde: “Quando i morti risorgeranno, gli uomini e le donne non si sposeranno più, ma saranno come gli angeli del cielo”. E’ la risposta secca, dura quasi provocatoria a chi non crede nella resurrezione e cerca di mettere in difficoltà Gesù con dei cavilli. Nell’aldilà non ci saranno più obblighi legati all’istituto legale del matrimonio ma i sentimenti sì, i legami di valore sì. Anzi in un mondo in cui non esisteranno più discriminazioni e sperequazioni verranno recuperate anche le istituzioni liberate dalle strutture di peccato e quindi avrà luogo anche una vita sociale come vita di convivialità e di ricerca comunitaria del bene e del bello. Sarà “una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono dal cuore degli uomini”(idem). Così nella terra presente cresce ” quel corpo dell’umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione, che adombra il mondo nuovo”. E se non si può confondere il progresso terreno con lo sviluppo del Regno di Dio ” tuttavia, tale progresso, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’ umana società, e’ di grande importanza per il Regno di Dio. La dignità dell’uomo, la comunione fraterna, la libertà, cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità , dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfijgurati, nella vita eterna ” (idem). Il Regno non sarebbe un convivio di anime liberate dal corpo ma di uomini con un loro corpo rigenerato, divenuto eterno ma che comunque continuerebbe ad avere, probabilmente, delle esigenze. Non credo che sia un caso che l’immagine più usata da Gesù per indicare il suo Regno è il banchetto conviviale. L’aldilà può essere pensato quindi come città dell’amicizia perfetta e come città della gioia piena che, nella misura in cui recepisce il contributo di questo mondo, si sviluppa ed evolve ma dentro un equilibrio dato che è stato acquisito una volta per sempre dopo il grande conflitto scoppiato fra gli angeli.

Infatti la vita eterna è sempre esistita fin dalla creazione ma ha conosciuto diverse rivoluzioni. La prima appunto fu lo scontro di cui parla l’Apocalisse(Ap 12, 7-12) fra Michele e il drago cioè Lucifero:

“Scoppiò una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme ai suoi angeli, ma non prevalse e non vi fu più posto per loro in cielo.
E il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il Satana, e che seduce tutta la terra abitata, fu precipitato sulla terra e con lui anche i suoi angeli.
Allora udii una voce potente nel cielo che diceva:
«Ora si è compiuta
la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio
e la potenza del suo Cristo,
perché è stato precipitato
l’accusatore dei nostri fratelli,
colui che li accusava davanti al nostro Dio
giorno e notte.
Ma essi lo hanno vinto
grazie al sangue dell’Agnello
e alla parola della loro testimonianza,
e non hanno amato la loro vita,
fino alla morte.
Esultate, dunque, o cieli
e voi che abitate in essi».

 La grande “rivoluzione” del Cristo

 Potrebbe sembrare strano che il grande conflitto fra gli angeli – che risale all’inizio dei tempi forse prima della creazione del mondo – venga collegato alla passione di Cristo, al “sangue dell’Agnello” – che è un evento accaduto nel pieno della storia terrena –  ma non bisogna dimenticare che la scansione del tempo non riguarda la vita eterna. Per chi è in essa tutto  e’, in un certo senso contemporaneo, lo scontro fra Michele e Satana e la Passione e la Resurrezione di Gesù. Così la Resurrezione  produce i suoi effetti  fin dagli inizi dei tempi anche se questo concetto ci confonde e siamo obbligati a ragionare collocandoci nel tempo. Con l’’avvertenza che la categoria del tempo e’ necessaria alla nostra comprensione ma l’esperienza di Dio e’ oltre. A prescindere dalla sequenza degli eventi storici, la resurrezione di Gesù ha rivoluzionato l’aldilà realizzando appunto quel Regno di Dio di cui parlava proclamando : “Convertitevi perchéil Regno di Dio è vicino”. E ragionando con la logica temporale possiamo dire che il primo atto che compie Gesù dopo la sua morte è la liberazione dei giusti che erano morti prima di lui e li conduce con sé in Paradiso. Dice infatti Pietro ( 1Pt 3,19): “E’ in spirito ando’ ad annunziare la salvezza agli spiriti che attendevano in prigione”. E chi erano questi spiriti? Una antica tradizione dei padri della Chiesa vuole che siano i giusti, morti prima della resurrezione , che erano in un luogo di attesa e cioè “gli inferi” che non corrispondeva all’infermo ma ad una sorta di limbo. Un altro esempio di questo “cortocircuito” fra tempo ed eternità ce lo mostra la trasfigurazione del Monte Tabor.  E’ dopo la sua morte che Gesù libera i giusti, abbiamo detto, e quindi anche Mosé ed Elia eppure sul Tabor, in questo squarcio di eternità che egli apre dinnanzi agli apostoli attoniti, Mosé ed Elia sono al suo fianco.

Se il primo atto della rivoluzione è la Resurrezione e la “discesa agli inferi”, il secondo è l’Ascensione. Un evento la cui importanza spesso sfugge ed ricondotto ad un evento, per così dire secondario quasi pleonastico, eppure nell’economia della rivoluzione dell’eternità proprio l’Ascensione ha un ruolo importante.

Dopo la sua morte  Gesù è asceso al cielo per preparare l’accoglienza degli apostoli e dei fedeli. Racconta Giovanni (14,1-4) che Gesù disse ai discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via». Disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me». 

Un teologo che ebbe un ruolo importante nella teologia della seconda metà del secolo scorso e fu fra i protagonisti del Concilio,  Jean Daniélou,  mette un accento particolare sull’Ascensione. Gesù dice il teologo e cardinale francese, si presenta come il Figlio dell’uomo annunciato da Daniele: chi crede in Lui è già giudicato. (Giov. III, 17), è passato dalla morte alla vita (V, 25), possiede la vita eterna (V, 24). Tutto questo viene compiuto dagli avvenimenti misteriosi della sua Incarnazione, della sua Passione, della Resurrezione e infine dell’ Ascensione per la quale, secondo il detto dell’Epistola agli Ebrei, l’umanità è introdotta una volta per sempre nella sfera di Dio.  “Lo straordinario avvenimento che nella storia del mondo è rappresentato dall’ Ascensione – scrive Daniélou ne “Il Mistero della salvezza delle nazioni”, un libro pubblicato in Italia nel 1954 – è  che, una volta per tutte e per sempre, l’umanità viene unita alla vita divina ed è introdotta da Cristo nella sfera di Dio: «Hapax », «una volta per tutte », in una maniera assolutamente « irreversibile» secondo il termine che usano i filosofi moderni per definire il senso stesso del tempo. Questo vuol dire che non ci può essere più un ritorno indietro e che l’umanità non può essere più separata da Dio. Essa vi è entrata per sempre e definitivamente. Noi siamo salvati in Cristo. Per conseguenza la salvezza nostra non è più soltanto una speranza, ma una realtà già realmente posseduta. Abbiamo già la vita divina e la fine dei tempi è venuta con Cristo. Questo è definitivamente acquisito “.

Un commentatore dello scrittore francese ha fatto notare  la differenza fra Incarnazione e Ascensione. Secondo il pensiero di parecchi Padri, con l’Incarnazione l’umanità intera ha già contratto un’unione indissolubile con la divinità attraverso Gesù Cristo. Ma un’unione ancora iniziale e potenziale, destinata a svilupparsi nei singoli uomini attraverso la loro incorporazione a Cristo: il risultato di questa incorporazione è la Chiesa, corpo mistico di Cristo. All’Ascensione è Cristo, capo della Chiesa, che entra in cielo e che vi introduce quelli che sono definitivamente incorporati a Lui. Con l’Ascensione Cristo inaugura il nuovo Paradiso che non è abitato solo da angeli ed arcangeli ma dagli uomini con i loro valori, la loro storia, la loro cultura. Con l’Ascensione il Regno di Dio si insedia nel Paradiso.

Tuttavia,- osserva ancora Deniélou –  se consideriamo noi stessi e l’umanità che ci circonda, siamo colpiti da quel che resta di miseria, di peccato e dalla piccola differenza che spesso sembra esserci tra un cristiano e un non cristiano. Siamo sbalorditi vedendo come la salvezza acquistata in Cristo sia ancora cosi poco manifesta. Era già così per i primi cristiani; benché convinti che a partire dalla Pentecoste lo Spirito Santo fosse venuto e che essi avessero la vita divina, erano pure coscienti di ciò che loro mancava; vedevano bene, in particolare, di non essere ancora risorti. Se essi, secondo il detto di S. Paolo, potevano dire: «Consurrexistis cum Christo – Siete già risorti con Cristo », sapevano anche che la resurrezione a cui partecipavano con la grazia non era ancora manifestata nel loro corpo. Secondo un’espressione di S. Giovanni: «Noi siamo ora figli di Dio . Ma ciò che saremo un giorno non è ancora stato manifestato ». C’è quindi qualche cosa di acquisito e nel tempo stesso uno scarto che separa questa prima acquisizione dal compimento definitivo. E una riprova dello scarto che esiste fra la vita terrena cadenzata dal tempo e l’aldila’ immerso nell’eternita’. Comunque sappiamo che al tempo di questa manifestazione, di questa Apocalissi, «noi saremo simili a Lui perchè lo vedremo come è) ». (I Giov 3,2).

San Paolo in 1 Corinzi (15, 20-27) dice: “…Cristo è veramente risuscitato dai morti, primizia di risurrezione per quelli che sono morti. Infatti per mezzo di un uomo è venuta la morte, e per mezzo di un uomo è venuta la risurrezione. Come tutti gli uomini muoiono per la loro unione con Adamo, così tutti risusciteranno per la loro unione a Cristo.  Ma ciascuno nel suo ordine. Prima Cristo che è la primizia, poi, quando Cristo tornerà, quelli che gli appartengono. Poi Cristo distruggerà ogni Principato, Dominazione e Potenza, e consegnerà il regno a Dio Padre: allora sarà la fine. Perché Cristo deve regnare, finché Dio abbia messo tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere distrutto sarà la morte. Infatti la Bibbia afferma: «Tutto ha posto sotto i suoi piedi»”.

Così la Resurrezione non riguarda solo gli uomini, riguarda tutto l’universo. “Tutto l’universo aspetta – scrive ancora S.Paolo – con grande impazienza il momento in cui Dio mostrerà il vero volto dei suoi figli. Il creato è stato condannato a non aver senso, non perché l’abbia voluto, ma a causa di chi ve lo ha trascinato. Vi è però una speranza: anch’esso sarà liberato dal potere della corruzione per partecipare alla libertà e alla gloria dei figli di Dio. Noi sappiamo che fino ad ora tutto il creato soffre e geme come una donna che partorisce. E non soltanto il creato, ma anche noi che abbiamo, le primizie dello Spirito, soffriamo in noi stessi perché aspettiamo che Dio, liberandoci totalmente, manifesti che siamo suoi figli.” (Rom. 8, 18-23).

 L’universo e il Regno di Dio

 San Paolo parla di “tutto l’universo”. Che cosa si deve intendere? Solo l’universo creato cioè la natura o anche quella parte dell’universo costruito dall’uomo partecipando all’opera della creazione? Anche alla luce di quanto ha detto il Concilio Vaticano II  penso che il termine vada inteso in senso ampio investendo anche l’universo costruito dagli uomini. Anche queste realtà subiranno la trasfigurazione cioè verranno purificate da quelle che Giovanni Paolo II ha chiamato “strutture di peccato” e “meccanismi perversi” esaltando invece le strutture di solidarietà cioè i meccanismi virtuosi. Infatti dopo la sua morte Gesù ha inviato lo Spirito nel mondo:  “E’ bene per voi che me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore: ma quando me ne sarò andato ve lo manderò . E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia ed al giudizio. Quanto al peccato perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo e’ stato giudicato” (Gv. 16, 7-11). Quanto al peccato, quanto alla giustizia e quanto al giudizio certamente non può non comprendere anche l’ aiuto agli uomini a costruire quel pezzo di storia delle realtà terrene che, trasfigurato, entrerà a far parte del Regno di Dio. Quello della discesa dello Spirito è il terzo atto della grande rivoluzione.

Esiste quindi un filo rosso che collega fra di loro Incarnazione, Passione, Resurrezione, Ascensione e Pentecoste. Un filo rosso che continua ancora oggi a scorrere nella storia e scorrerà fino alla Parusia quando cioè sarà messa fine alla storia del mondo, cioè alla vita terrena.

A questo punto della riflessione vorrei affrontare due nodi legati alla morte ed alla vita eterna. Il primo nodo riguarda quando ha inizio la vita eterna; il secondo si porta ad interrogarci sul perché abbiamo paura della morte se la vita eterna è una realtà di gran lunga più desiderabile di quella terrena.

 Quando ha inizio la vita eterna?

 Quando ha inizio la vita eterna? Subito alla morte di ciascuno di noi. Infatti Gesù dice al ladrone buono: “oggi  sarai con me nel Paradiso”(Lc 23,43). Non dice alla fine dei tempi, dice oggi, subito. Eccoci ancora di fronte al tempo che e’ solo esperienza di questo mondo. Mille anni agli occhi di Dio sono come il giorno di ieri quand’è passato (Salmo 90.4) e Pietro sottolinea “ per il Signore, un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno” ( 2 Pt 3.8). Infatti la teologia moderna non parla più di uno stato intermedio fra la morte della persona ed il giudizio universale e quindi non esistono più i dormienti in attesa del giudizio universale. Immediatamente alla nostra morte noi sperimentiamo il giudizio universale ed otteniamo nello stesso tempo l’immortalità dell’anima e la resurrezione nella nuova carne. Lo stesso Purgatorio, se mai esistesse, sarebbe fondato non sul tempo ma sull’intensità.

Fra i teologi che hanno dato un importante contributo a questo chiarimento vi è Karl Rahner.

Chi sostiene – ha scritto nel saggio “A proposito dello stato intermedio” pubblicato nel volume “Teologia dell’esperienza dello Spirito” –  che l’unico compimento totale dell’uomo quanto al ‘corpo’ e quanto all’ ‘anima’ subentri immediatamente con la morte, che la ‘resurrezione della carne’ e il ‘giudizio universale ‘ avvengano ‘lungo’ la storia temporale del mondo, e che le due cose coincidano con la somma dei giudizi particolari dei singoli uomini, costui non corre il pericolo di sostenere un’eresia” (pag. 558). E’ con questa tesi “minimalista”, enunciata nel corso degli anni 70, che Rahner tende a capovolgere una concezione  che si rifaceva a Benedetto XII ed alla sua costituzione  “Benedictus Deus” del 1336. “La concezione medioevale dello stato intermedio – sostiene il grande teologo tedesco -, va considerata come una tappa della storia della teologia e niente più. Essa è il tentativo di conciliare il punto di vista collettivo e quello individuale del compimento escatologico” ( p.562).

La concezione dello stato intermedio, osserva ancora Rahner , non ha dalla sua nemmeno la  tradizione della Chiesa infatti “la stragrande maggioranza dei Padri della Chiesa ha inteso la liberazione dallo sheol ad opera di Gesù Cristo morto e risorto, di coloro che erano morti prima di lui, nel senso della dottrina giudaica della resurrezione come resurrezione corporea, ma non come liberazione solo delle anime in ordine alla visione di Dio ( idem, pag. 562)”. Di più, contro la teoria dello stato intermedio gioca l’esigenza di dover intendere l’anima separata dal corpo ( l’anima è già nella beatitudine di Dio mentre il corpo dorme). Ma fin dalla teologia classica, l’anima è definita come “forma corporis” ed il Concilio di Vienna del 1312 con la costituzione “Fidei catholicae” dichiarò l’unità sostanziale di anima e corpo.

 Perché abbiamo paura della morte?

 Perché l’uomo ha paura della morte? Perché ha poca fiducia nella vita eterna e perché le attese di felicità le collega tutte e soprattutto a questa vita terrena. Questo sarebbe stato vero anche per Gesù? Nella lettera agli Ebrei (5.7) si dice che “durante la sua vita terrena, Gesù si rivolse a Dio che poteva salvarlo dalla morte, offrendo preghiere e suppliche accompagnate da forti grida e lacrime”. Sembrerebbe cioè che anche Gesù temesse la morte e cercasse di evitarla. Ma basta leggere più avanti e si scopre che “Dio lo ascoltò”.  E come lo ascoltò Dio? Liberandolo dalla morte in croce? No. Risuscitandolo e concedendogli, dopo la morte, la vita eterna e la possibilità di realizzare quel Regno per cui si era immolato. Quindi Gesù non aveva paura di morire anche se in quella maniera terribile e ignominiosa, non aveva paura della vita eterna ma della morte eterna e ciò che chiedeva al Padre era appunto la vita eterna per sé e per chi avesse creduto in lui. E che per lui non fosse così scontato che l’ottenesse lo rivela proprio la stessa lettera agli Ebrei: Dio lo ascoltò poiché era sempre stato fedele a lui ed è diventato causa di salvezza eterna per tutti quelli che gli ubbidiscono “dopo essere stato reso perfetto” (5,9).Il teologo evangelico Jurgen Moltmann ha cercato di penetrare questo dramma del Figlio e del Padre e ci ricorda che Gesù è morto col grido “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46; Mc 15,34) e quindi ha sperimentato l’abbandono di Dio e Dio Padre ha provato il dolore per la morte del Figlio. Cristo ha vissuto la morte nell’abbandono, il Padre è sopravvissuto alla morte del Figlio: questa è la situazione del Venerdì santo”.

Non è invece così per la paura di noi uomini di fronte alla morte. Per noi, questa vita terrena, pur con i suoi limiti e i suoi problemi, appare molto più desiderabile di una vita eterna futura di cui non si ha consapevolezza alcuna. Almeno fino a quando la sofferenza di questa vita non diventa insopportabile. Oppure fino al momento in cui si sono esaurite e sono svanite tutte le attese nei confronti di questa esistenza.

Anzi proprio la vita moderna sembra volere nascondere la morte illudendoci che sia possibile trasferire il Paradiso su questa terra, illudendoci che possiamo divenire immortali sconfiggendo le malattie e la morte.  Ma parlare  di morte e di aldilà non può rappresentare una evasione dalle responsabilità della vita terrena, dalla dura realtà dei problemi quotidiani? Certo se l’aldilà è un mondo etereo fatto di nuvole, di angeli, di luce e che non ha nessuna attinenza con la realtà di questo mondo effettivamente può rappresentare una evasione.

Forse può aiutare se invece di vita eterna e di Paradiso noi parliamo di Regno di Dio che è il termine preferito da Gesù e quello su cui si è soffermato spesso parlandone  soprattutto attraverso le parabole che sono lo strumento ideale per veicolare una similitudine. Inoltre proprio l’immagine del Regno permette di cogliere il legame profondo che c’è fra la vita terrena e l’aldilà.  E forse è proprio perché non si è riflettuto seriamente sul Regno di Dio o non si è saputo ricondurre ad esso i discorsi sul Paradiso e sulla vita eterna che la Chiesa ha in qualche modo messo la sordina su di essi?   Ma se si prende a riflettere seriamente sul Regno di Dio e sul significato dell’Incarnazione, della Passione, della Resurrezione, dell’Ascensione e della Pentecoste si scopre che non c’è contraddizione alcuna fra attesa della vita eterna ed impegno nella trasformazione della società e nella promozione della giustizia e della solidarietà in questo mondo. Perché il Regno di Dio non è solo esperienza dell’aldilà. Gesù  interrogato dai farisei  su quando sarebbe arrivato il Regno di Dio, rispose: “Il Regno di Dio, non viene in modo da attirare l’attenzione e nessuno dirà: Eccolo qui, eccolo là.. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!””.(Lc. 17, 20-25). Quindi il Regno di Dio è “già e non ancora”. Come appunto ci ricorda il Concilio: nel mondo presente già cresce il corpo dell’umanità nuova. Si tratta di usare il discernimento per individuarne i semi di questo regno – e cioè tutti i segmenti di amore, di carità di solidarietà sparsi nel mondo – ed aiutarli a crescere ( Mt 13, 31-32) come accade al lievito che è una piccola parte della farina ma fa lievitare tutta la pasta (Mt. 13, 33). Questo “corpo dell’umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione, che adombra la società nuova” (Lumen gentium n.39) è la Chiesa? Molti lo sostengono e sembrerebbe affermarlo anche il Vaticano II al n. 5 della Lumen gentium : ”La Chiesa perciò, fornita dei doni del suo fondatore e osservando fedelmente i suoi precetti di carità, umiltà e abnegazione, riceve la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l’inizio”.

Ma se consideriamo che per questa realtà nuova, Dio opera direttamente con le sue due mani che come ci ricordava sant’Ireneo sono la Parola e il Soffio (Y. Congar, La Parola e il Soffio , Roma 1983) – la Parola  cioè Cristo ed il Soffio cioè lo Spirito Santo – non possiamo non riconoscere che indubbiamente Cristo è più grande della sua Chiesa e che lo Spirito soffia dove vuole, anche oltre i confini della Chiesa-istituzione, suscitando nella storia profeti non solo fra i credenti ma anche fra i non credenti. Quindi la Chiesa di questa realtà ne è il segno, il sacramento, in qualche modo – ci auguriamo – l’avanguardia. Se dovessimo sostenere, invece, che l’umanità nuova e il mondo nuovo si ritrovano solo nella Chiesa torneremo alla formula medioevale ed asfittica dell’”Extra ecclesiae nulla salus” che il Vaticano II ha smentito.

Ma come matura il Regno di Dio su questa terra? Come opera Dio attraverso la Parola ed il Soffio? Che contributo possono dare gli uomini? Per cercare di capirlo dobbiamo soffermare l’attenzione su tre protagonisti: lo Spirito Santo, la santità, l’Eucarestia.

 L’opera dello Spirito

 Partiamo dallo Spirito Santo e dalla considerazione che esso opera in stretto collegamento con il Verbo, come si è visto, anche durante la missione terrena del Cristo. Jean Daniélou , nel libro che abbiamo citato, osserva che si riflette molto sul rapporto di Gesù col Padre e poco invece su quello con lo Spirito Santo. Eppure a cominciare dal Battesimo nel Giordano per tutta la sua vicenda terrena Gesù opera con lo Spirito e si qualifica non solo come re e sacerdote ma anche come profeta. Si pensi, per fare un esempio, alla profezia nella sinagoga di Nazareth:

Lo Spirito del Signore è sopra di me, perciò mi ha unto per evangelizzare i poveri. Mi ha mandato ad annunciare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista, e a rimettere in libertà gli oppressi. Oggi questa scrittura s’è adempiuta davanti a voi (Luca 4,18-19)”.

E’ in virtù dello Spirito santo – ci ricorda Congar (pag. 113)– che Gesù porta avanti la sua lotta contro Satana ed esercita il suo potere di iniziatore del Regno manifestando la sovranità misericordiosa e benevolente di Dio.

Ed è il Cristo che  prima di lasciare i suoi discepoli annuncia che manderà il Paraclito, il Consolatore e questo avviene con la Pentecoste. Da allora lo Spirito opera nel mondo continuando quanto aveva iniziato Gesù e cioè ispirando e sostenendo gli uomini nella realizzazione di patti di pace fra di loro e contrapponendosi all’opera del Maligno. E fa questo continuando a suscitare profeti e con la diffusione dei carismi. Per questo Satana non è più il signore incontrastato di questo mondo perché c’è lo Spirito di Verità che combatte a fianco agli uomini di buona volontà.  Rileggiamo quanto ci ha insegnato l’Apocalisse collegando questo evento, per le osservazioni fatte sul tempo, alla Passione e Resurezione di Gesù .

Ora si è compiuta la salvezza,

la forza e il regno del nostro Dio

e la potenza del suo Cristo,

poiché è stato precipitato l’Accusatore;

colui che accusava i nostri fratelli

davanti al nostro Dio giorno e notte”  (Apocalisse 12,10).

Lo Spirito di Verità combatte sostenendo le virtù degli uomini ma anche le loro opere positive. Combatte sostenendo i pacifici, i misericordiosi, i miti, gli umili di cuore ma anche le attività, le strutture, le imprese ispirate alla solidarietà, alla fraternità, alla giustizia e le lotte contro le ingiustizie, le sopraffazioni, le discriminazioni, le prepotenze, la creazione di meccanismi perversi e di strutture di peccato. E’ un’opera grandiosa per cui possiamo definire lo Spirito Santo come il grande costruttore di una rete che opera collegando le coscienze degli uomini, aiutandoli ad entrare in sintonia fra di loro. Potremmo dire, riprendendo un termine caro a Teilhard de Chardin che lo Spirito Santo è il creatore della noosfera cioè di quell’involucro che avvolge la Terra come un’altra atmosfera ma non formata dall’aria che si respira ma delle relazioni fra le coscienze dei viventi.  Un’opera grandisos che possiamo leggere applicando agli avvenimenti di questo mondo il discernimento spirituale. Compiere una lettura spirituale della storia vuol dire appunto scoprire l’intervento dello Spirito Santo nella storia degli uomini. E’ un esercizio a cui non siamo abituati ma e’ il metodo della Sacra Scrittura.

 La santità

 Assieme, a fianco, connessa a quest’opera incessante che irriga il mondo vi sono le esperienze di santità anch’esse sostenute e promosse dallo Spirito. Quali sono e dove sono le esperienze di Santità?

Tutti coloro che credono nel Cristo di qualsiasi stato o rango, – dice il Concilio Vaticano II – sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità e che tale santità promuove nella stessa società terrena un tenore di vita più umano. Per raggiungere questa perfezione i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura con cui Cristo volle donarle, affinché, seguendo l’esempio di lui e diventati conformi alla sua immagine, in tutto obbedienti alla volontà del Padre, con piena generosità si consacrino alla gloria di Dio e al servizio del prossimo. Così la santità del popolo di Dio crescerà in frutti abbondanti, come è splendidamente dimostrato nella storia della Chiesa dalla vita di tanti santi” (Lumen gentium n. 40).

Sempre la LG ci dice che la santità “ si esprime in varie forme in ciascuno di quelli che tendono alla carità perfetta nella linea propria di vita ed edificano gli altri; e in un modo tutto suo proprio si manifesta nella pratica dei consigli che si sogliono chiamare evangelici. Questa pratica dei consigli, abbracciata da molti cristiani per impulso dello Spirito Santo, sia a titolo privato, sia in una condizione o stato sanciti nella Chiesa, porta e deve portare nel mondo una luminosa testimonianza e un esempio di questa santità”.Tutti i fedeli del Cristo quindi sono invitati e tenuti a perseguire la santità e la perfezione del proprio stato. Perciò tutti si sforzino di dirigere rettamente i propri affetti, affinché dall’uso delle cose di questo mondo e da un attaccamento alle ricchezze contrario allo spirito della povertà evangelica non siano impediti di tendere alla carità perfetta; ammonisce infatti l’Apostolo: Quelli che usano di questo mondo, non vi ci si arrestino, perché passa la scena di questo mondo (cfr. 1 Cor 7,31 gr.). Oggi nella Chiesa la santità che ci si presenta è, – direbbe il Card. Martini – come ogni santità eroica, qualcosa di straordinario ma insieme semplice: un eroismo semplice, una normalità esemplare, una sublimità a noi vicina, una santità popolare.

Ed è proprio questa santità che ci appare, in qualche modo,  il ponte che collega il “già” ed il “non ancora” del regno di Dio e quindi, per dirla con altro linguaggio, la vita terrena e la vita eterna. Mi viene da pensare che, se fossimo tutti santi come pure siamo chiamati ad esserlo, allora la morte sarebbe veramente sconfitta e i piccoli ponti che ognuno di noi cerca di gettare verso il “non ancora” rappresenterebbero una sorta di autostrada.

Se veramente ognuno di noi avesse una fede forte e radicata nella resurrezione del Cristo e quindi nella resurrezione di tutti coloro che Egli ha attratto a sé (Giovanni 12,32), non ci sarebbe più pianto per le morti dei propri cari e diverrebbe esperienza comune quanto si dice in quella preghiera attribuita a Sant’Agostino:

“La morte non è niente.

Sono solamente passato dall’altra parte:

è come fossi nascosto nella stanza accanto.

Io sono sempre io e tu sei sempre tu.

che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora….

….La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto:

è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza.

Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista?

Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo.

Rassicurati, va tutto bene.

Ritroverai il mio cuore,

ne ritroverai la tenerezza purificata.

Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami:

il tuo sorriso è la mia pace. “.

 L’Eucarestia

 Ed infine l’Eucarestia che vorrei definire come l’officina del Regno di Dio. Infatti l’Eucarestia è il momento in cui l’uomo si presenta al Cristo e gli offre i frutti del suo impegno nel fare trionfare la giustizia, la solidarietà, la pace, le sofferenze patite, le delusioni, le contrarietà, i soprusi subìti. Gli offre cioè tutto se steso come sacrificio vivente (Rom.12,1.2) e Cristo tutto benedice e mentre accoglie tutto come materiale per la costituzione del Regno, a sua volta, offre all’uomo se stesso, sotto le sembianze del pane e del vino, perché l’uomo trovi la forza di continuare a lottare.

Questa prospettiva che vorrebbe affrancare l’Eucarestia dalla pietà devozionale e aiutarla ad avere quel respiro cosmico voluto da Cristo mi rimanda ad una delle più belle ed ispirate pagine del gesuita scienziato Pierre Teilhard de Chardin con cui apre il suo saggio “La Messa sul Mondo”:

Poiché ancora una volta, o Signore, non più nelle foreste dell’Aisne ma nelle steppe dell’Asia, sono senza pane, senza vino, senza altare,mi eleverò al di sopra dei simboli sino alla pura maestà del Reale; e Ti offrirò, io, Tuo sacerdote, sull’altare della Terra totale, il lavoro e la pena del Mondo.

Lì in fondo, il Sole, appena incomincia ad illuminare l’estremo lembo del primo Oriente. Ancora una volta, sotto l’onda delle sue fiamme, la superficie vivente della Terra si desta, vibra e riprende il suo formidabile travaglio. Sulla mia patena, porrò, o Signore, la messe attesa da questa nuova fatica e, nel mio calice, verserò il succo di tutti i frutti che oggi saranno spremuti.

Il mio calice e la mia patena sono le profondità di un’anima ampiamente aperta alle forze che, tra un istante, da tutte le parti della Terra, si eleveranno e convergeranno nello Spirito”.

 Conclusione

 Potrei concludere con questa immagine che continua a risuonarmi nella mente da quando ero ancora giovane. Ma è giusto che un discorso cominciato rivolgendomi a chi come me cerca di farsi una ragione della morte che sia coerente con la propria fede torni a questa dimensione, alla dimensione personale. Ed allora non mi sembra che ci sia pensiero più bello di quello che Rahner ci suggerisce come preghiera conclusiva: “Voglia il Dio misericordioso concederci la grazia di andarcene pregando da questo mondo, affinché l’ultima parola del cuore in questo tempo possa essere la prima parola dell’eternità che non ha più fine” (K. Rahner , Necessità e benedizione della preghiera, Brescia, 1994, pag. 154).

 

 

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