PREGHIERA DEI FEDELI

Preghiera dei fedeli di Domenica 27 febbraio 2022

Celebrante: Dopo aver dato alla nuova comunità gli Apostoli e le Beatitudini, Gesù enuncia alcune parabole che potremmo dire di indirizzo per contrastare l’ipocrisia di chi ha la pretesa di sapere e vuole insegnare. Famosa la parabola della pagliuzza e della trave: Come puoi dire a tuo fratello lascia che ti tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio giacché tu stesso non la vedi? Il tono di Gesù è ironico: quando uno è riuscito a togliersi la trave che ha conficcato nell’occhio gli passa la voglia di andare a cercare le pagliuzze negli occhi dei fratelli. Preghiamo tutti insieme il Padre: Fa che ci curiamo della trave che trafigge il nostro occhio piuttosto che delle pagliuzze che infastidiscono quelli dei vicini.

Lettore. Gesù dà un criterio per l’autenticità del discepolo? Sono i frutti.  Quando questi frutti arricchiscono la vita, comunicano vita, vengono da Dio. Gesù fa l’esempio comprensibile a tutti: Non vi è albero buono, bello, che produca un frutto cattivo né vi è d'altronde un albero cattivo che produca un frutto buono, bello. Quindi il criterio dell’autenticità non è la dottrina, l’ortodossia, ma il frutto che si produce. Se un messaggio produce vita, arricchisce la vita degli altri viene senz’altro da Dio perché Dio è l’autore della vita. 

Preghiamo tutti insieme il Padre: Fa che ci curiamo della trave che trafigge il nostro occhio piuttosto che delle pagliuzze che infastidiscono quelli dei vicini.

Questo criterio di autenticità del discepolo porta ad una conclusione: “l’uomo buono ha un vero tesoro conservato nel suo cuore”. Il cuore inteso come cultura e cioè la mente, l’intelligenza, la coscienza, l’esperienza, la capacità di estrarre il bene dalle cose. Chi si alimenta di bene inevitabilmente produce il bene per gli altri. Ecco perché è importante alimentarsi soltanto di quello che Luca indica come il bello, il buono. Quello che in noi diventa fonte di alimento produce alimento per gli altri.
Preghiamo tutti insieme il Padre: Fa che ci curiamo della trave che trafigge il nostro occhio piuttosto che delle pagliuzze che infastidiscono quelli dei vicini.

Celebrante. L’evangelista Luca giunto al versetto 46 ha ancora una postilla da aggiungere che il liturgista dimentica. Una cosa molto semplice “Perché mi chiamate Signore Signore e poi non fate quel che vi dico?”. Ecco, quello che chiama “Signore Signore”, vuole affermare che la dottrina è perfetta, che l’ortodossia è perfetta, ma se poi non fa quello che dice Gesù per Gesù è una persona inutile. Padre fa che le nostre parole rispondano sempre ai nostri sentimenti e non dobbiamo mai essere giudicati inutili. Questo ti chiediamo per Cristo nostro Signore.

Vangelo e letture di Domenica 27 febbraio 2022
Dal Vangelo secondo Luca 6,39-45

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: ‹Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio›, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”.

venerdì 25 febbraio 2022

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50 PAROLE GRECHE DEL NUOVO TESTAMENTO

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” Perchè guardi
la pagliuzza
che è nell’occhio
del tuo fratello
e non ti accorgi
della trave che è
nel tuo occhio?”

(Luca 6,41)
«Un discepolo si era macchiato di una grave colpa. Tutti gli altri reagirono con durezza condannandolo. Il maestro, invece, taceva e non reagiva. Uno dei discepoli non seppe trattenersi e sbottò: “Non si può far finta di niente dopo quello che è accaduto! Dio ci ha dato gli occhi!” Il maestro, allora, replicò: “Sì, è vero, ma ci ha dato anche le palpebre!”». Siamo partiti da lontano, con questo apologo indiano, per commentare una delle frasi più celebri del Vangelo, dedicata alla falsa correzione fraterna.
Sappiamo, infatti, che lo stesso Gesù suggerisce di «ammonire il fratello se commette una colpa contro di te» (si legga il paragrafo di Matteo 18,15-18). Ma è inesorabile contro gli ipocriti che correggono il prossimo per esaltare sé stessi e, anche in questo caso, è difficile trovare una più incisiva lezione rispetto a quella che ci è offerta dalla parabola del fariseo e del pubblicano (Luca 18,9-14). In tutti gli ambienti, anche in quelli ecclesiali, ci imbattiamo in questi occhiuti e farisaici censori del prossimo, ai quali non sfugge la benché minima pagliuzza altrui, sdegnati forse perché la Chiesa è troppo misericordiosa e, a loro modo di vedere, troppo corriva.
Si ergono altezzosi, convinti di essere investiti da Dio di una missione, consacrati al servizio della verità e della giustizia. In realtà, essi si crogiolano nel gusto sottilmente perverso di sparlare degli altri e si guardano bene dall’esaminare con lo stesso rigore la loro coscienza, inebriati come sono del loro compito di giudici. Ecco, allora, l’accusa netta di Gesù: guarda piuttosto alla trave che ti acceca! «Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello» (6,42). E poche righe prima, in questo che gli studiosi hanno denominato il “Discorso della pianura” (parallelo al “Discorso della montagna” di Matteo), egli aveva ammonito: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati!» (6,37).
Purtroppo, dobbiamo tutti confessare che questo piacere perverso di spalancare gli occhi sulle colpe del prossimo è una tentazione insuperabile che ci lambisce spesso. Quel racconto indiano che abbiamo citato in apertura è accompagnato da un paio di versi di un celebre e sterminato poema epico indiano, il Mahabharata, che affermano: «L’uomo giusto si addolora nel biasimare gli errori altrui, il malvagio invece ne gode». Bisogna riconoscere – come ribadiva l’umanista mantovano Baldesar Castiglione (1478-1529) nel suo trattato Il Cortegiano – che «tutti di natura siamo pronti più a biasimare gli errori che a laudar le cose bene fatte». Ritorniamo, comunque, a quel discorso di Gesù proposto dal Vangelo di Luca e riprendiamo un’altra frase che sia da suggello a questa nostra riflessione sull’ipocrisia: «Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso» (6,36).

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